ASINI INTELLIGENTI
Chi l’ha detto che gli asini sono senza cervello? Solo perché li vedi, con una certa passività, a sopportare con pazienza carichi pesanti, come se non avessero una volontà propria, un modo per affermare la propria personalità? Un giorno, proprio davanti alla porta della chiesa ho visto un asinello rotolarsi con fare gioioso sulla terra del sagrato e ragliare con gusto al cielo. Uno spettacolo indimenticabile tra il comico e il tenero. Ogni tanto gli asinelli hanno di questi scatti di vita che sorprendono tutti. Sono gli animali haitiani che preferisco, e invece delle solite bastonate, ricevono da me carezze e pacche amichevoli.
C’è una storia che ho tratto da quelle del mitico Bruno Ferrero e l’ho tradotta per la situazione haitiana. Protagonista un asinello da soma che tentava di passare su un punto dove il sentiero era franato e dove l’acqua caduta in grandissima quantità a causa dell’uragano aveva scavato una enorme voragine. Qui ad Haiti si vedono gli asinelli andare anche per conto loro, mentre il padrone è a distanza con altri animali, ormai conoscono la strada per arrivare alla casa del padrone, una cosa che fanno sin da piccoli, giorno dopo giorno. Fu così che l’asino cadde dentro la voragine. Era sano e salvo, niente di rotto, ma incapace di risalire da quel buco profondo qualche metro. Il padrone e gli altri, arrivarono poco dopo, tentarono di farlo salire, ma non c’erano corde, non c’era alcuna possibilità di recupero. Decisero così di seppellirlo li, con la terra che c’era attorno, almeno avrebbe avuto una meritata sepoltura dopo tanto servizio. Gli haitiani della mia zona non mangiano gli asini, perché sono per loro come uno della famiglia. Una volta morti vengono sotterrati. Il problema è che questo asinello era vivo e ragliante. Così cominciarono a buttare terra nel buco con l’idea di vederlo scomparire soffocato e seppellito.
Ma l’asinello non si scoraggiò, man mano che la terra cadeva la pestava sotto i suoi piedi, salendo un po’ alla volta più in alto. Così la terra che doveva seppellirlo è diventata come un ascensore per uscire dal buco. Dopo qualche ora, ecco l’asinello fare un ultimo balzo e uscire sano e salvo dalla voragine ormai riempita di terra. Tutti contenti e felici, ma soprattutto l’asinello che si rotolò a terrà ragliando per la gioia.
Questa storiella molto gradita da piccoli e grandi, mi è servita per dire che l’uragano piombato su di noi assieme al ciclone tropicale che l’ha seguito con forti piogge, hanno prodotto un disastro terribile e caricato di nuovi problemi la vita haitiana già così vissuta al limite della sopravvivenza. Ho detto che dobbiamo fare come l’asinello, mettere sotto i nostri
piedi ciò che potrebbe seppellirci nella disperazione, utilizzare questa occasione per essere ancora più forti, più solidali e più uniti. Ci vorrà tempo e pazienza per uscire da questa voragine di distruzione, ma ce la possiamo fare. In tre quattro giorni uragano e ciclone hanno distrutto il lavoro di anni. Ci vorrà tanto tempo per uscirne. Ma non siamo soli. Ad esempio gli amici italiani ci stanno aiutando in tanti modi. Altre nazioni stanno inviando aiuti anche se concentrati sul sud dell’isola.
Nel nord ovest (nod wès) si è visto ben poco, da noi ancora nessun aiuto internazionale. Solo ieri i primi segni di attenzione, a più di un mese dal disastro, grazie alla Caritas di Port de Paix insieme a Food For The Poor che ci hanno chiamato per ritirare nei magazzini di Lavò 16 sacchi di riso e altre piccole scorte di cibo, insieme a coperte e cuscini. Comunque non siamo stati ad aspettare (come si faceva?) e grazie ai soldi inviati dall’Italia, dagli amici di Arcisate, di Brenno, di Melzo e di Desio abbiamo potuto intraprendere qualche primo intervento. Così è stato anche per don Claudio a Mare Rouge e per don Giuseppe a Ti Rivye, anche loro aiutati da tanti amici e comunità che li sostengono dall’Italia.
Con la terra sotto i piedi
Nella riunione fatta con tutti i responsabili delle 16 comunità sparse sul vasto territorio parrocchiale, si è convenuto di cominciare secondo alcune priorità.
Anzitutto incoraggiare a sistemare le strade stravolte e rese impercorribili, in certi punti anche a piedi. Così abbiamo dato ad ogni comunità una somma utile per dare da mangiare alle squadre di volontari, pagare la benzina della moto a chi andava nei tratti più lontani, dare una piccola quota a ciascuno per le proprie famiglie. Ogni comunità ha organizzato le proprie “Konbit”, cioè le squadre di volontari spesso invitati a voce con il megafono, o interpellati casa per casa. Ogni zona ha provveduto a sistemare i sentieri e le strade più strategiche, quelle che portano a prendere l’acqua potabile e quelle che collegano con i mercati e le scuole. La grande strada nazionale sarebbe dovuta essere di competenza dello stato, ma ci sarebbero voluti ancora parecchi giorni prima di vedere in azione qualche scavatrice (a tutt’oggi zero). Isolati come eravamo, senza il passaggio dei camion con materiali e provviste, senza possibilità per le jeep stesse di passare, abbiamo deciso di fare da soli. Così in un giorno abbiamo riaperto la strada che da Hans Rouge collega a Jean Rabel o a Port de Paix. C’era due punti veramente distrutti. Soprattutto quello vicino al fiume che si è ingrossato a dismisura portando via tutto e aprendo grosse voragini anche dove c’era un po’ di cemento. Così, il ripristino minimo della strada nazionale è stata una salvezza per noi perché i camion sono finalmente transitati con materiale e cibo, così anche i bus per il trasporto in capitale. Inoltre, a causa di problemi sulla strada di Port de Paix, è diventa l’unica strada percorribile per i mezzi di soccorso e di altro. Senza il lavoro dei volontari della parrocchia tutta la regione sarebbe rimasta isolata. Ho provato ad andare a Port de Paix per ritirare dei soldi arrivati in banca, ma percorrere l’altra strada nazionale, la più importante del nord ovest, è stata una avventura da safari-trekking. Una volta lasciata la strada sistemata da noi, la nostra piccola fuori strada si è impantanata diverse volte. Ci sono volute le spinte di diversi uomini per farla uscire dal fango. Gli haitiani del posto ne hanno approfittato per prendere qualche mancia in cambio di una buona spinta. Ancora adesso, nonostante che le due amministrazioni comunali responsabili dispongano di mezzi pesanti, nonostante l’importanza vitale di tale via, nessuno si è dato da fare per sistemarla. Solo le moto e le jeep veramente potenti passano a fatica. Camion e bus non passano. Ogni camion o bus che passa davanti alla chiesa mi fa pensare con un certo orgoglio al lavoro fatto da centinaia di volontari. Davvero ringrazio ancora di vivere una dimensione comunitaria dove si decidono insieme le cose da fare e dove tutti ci mettono il proprio contributo in cambio di ben poco, un piatto di riso e fagioli e magari 100 gourdes (un euro e mezzo, c.a).
Insieme all’emergenza strade, c’è quella della fame, soprattutto per le famiglie già molto povere o dove ci sono anziani, infermi e ammalati. Così stiamo acquistando del cibo da distribuire secondo una lista mirata e verificata per non cadere in facili opportunismi. Sono contento che la Caritas locale, quella di Port de Paix, abbia telefonato promettendoci l’invio di 50 Kit di cibo per le famiglie che potrebbero bastare almeno per un centinaio di famiglie. Con la nostra Caritas milanese avevamo già comunque avviato in agosto l’attività di un deposito per stoccare cibo per le emergenze che continuiamo a tenere rifornito con riso, pasta, fagioli, farina e olio.
In terzo luogo l’emergenza sarebbe quella di sostenere la piccola e diffusissima attività commerciale basata sul compravendita di piccole quantità di materiale, riso, fagioli, farina, ortaggi, legumi, frutta, zucchero, bevande. Le famiglie sopravvivono andando nei vari mercati a rivendere ciò che hanno comprato o raccolto (magari dopo ore di cammino, e alla fine della giornata aver guadagnato 150, 250 gourde, cioè dai 3 ai 4 euro). Il fatto di essere stati isolati per una decina di giorni ha fatto perdere a molti quelle piccole scorte destinate al commercio, ma inevitabilmente utilizzato per la stessa famiglia rimasta senza niente per mangiare. Inoltre la strage di caprette (4300) e di altri animali ha tolto a loro l’ulteriore riserva di denaro da investire. Di solito una famiglia poteva vendere una capretta o due per riavere il denaro da investire. Ora non hanno più niente. Non siamo nella stagione dei raccolti e non c’è altro da mettere in gioco. Così stiamo valutando deciso di creare un fondo di prestito, senza interesse, per rilanciare questa piccola ma strategica economia famigliare. Adesso vediamo cosa possiamo raccogliere dalle offerte inviateci dall’Italia. Ho visto che sono già stati donati più di 20.000 euro e altri arriveranno. La Caritas di Milano ha raccolto in diocesi una cifra da inviare alle nostre tre parrocchie Fidei Donum di Haiti di oltre 30.000 euro da dividere in tre.
In quarto luogo c’è da prevedere un aiuto per la semina in corso, con l’acquisto di sementi e la distribuzione a prezzi molto favorevoli, se non gratis per le situazioni più difficili.
In quinto luogo ci sono da rimediare i vari danni alle strutture e alle case. Circa 2000 case danneggiate, circa 150 cadute a terra del tutto. Ho tre chiese crollate e altre tre o quattro danneggiate. C’è stato un serio danno ad una scuola che è stato già riparato. Si sta progettando di chiedere alla fondazione Lambriana di sponsorizzare i progetti di ricostruzione.
Devo anche sistemare il tetto e la facciata posteriore della chiesa di Ka-Philippe perché altrimenti l’acqua tende ad entrare dalle fessure e allagare la parte delle stanze come è successo abbondantemente durante l’uragano. Se sistemiamo bene si può ricavare un buon spazio come deposito, nel sottotetto, in vista del ben di Dio che da Arcisate, gli amici di Levhaiti, hanno già messo in spedizione.
Per le case degli haitiani stiamo incoraggiando la sistemazione con il dono di qualche trave o asse, di chiodi, sacchi di cemento e lamiere per il tetto o pacchi di foglie di palma per la copertura tradizionale.
Il colpo economico si fa poi sentire nella impossibilità di pagare le rette scolastiche e le richieste di sostegno alla scuola si stanno moltiplicando.
C’è un aumento di persone malate, spesso a causa di malnutrizione o per le condizioni disastrate delle case. Abbiamo dovuto fare un acquisto straordinario di medicinali da distribuire nei nostri quattro dispensari. Dall’Italia arriveranno delle buone scorte spedite sempre dagli amici dell’associazione Levhaiti, ma non prima degli inizi di dicembre.
Infine c’è il problema delle migliaia di animali perduti. A parte qualche intervento urgente per situazioni di bisogno particolare, il problema potrà essere affrontato con l’acquisto di un certo numero di animali da far gestire ad un comitato sia per assegnare l’animale sia per redistribuire i piccoli che nasceranno ad altre famiglie ancora non servite. E’ un tipo di progetto già collaudato e richiede un buon sistema di controllo e di verifica. C’è chi si sta industriando per raccogliere fondi per questo, come gli amici di Desio con l’iniziativa “adotta una pecorella” e altre simili.
Vorrei infine dire davvero grazie a tutti voi. Alcuni sono amici da sempre e ci lega un grande affetto che gli anni non hanno affievolito, anzi! Poi ci sono altri che non conosco più di tanto, ci sono anche persone sconosciute del tutto. Che dire? Credo che la cartolina con il messaggio già diffuso recentemente possa esprimere il nostri sentimenti, quelli miei e quelli della nostra gente.
GRAZIE A VOI, anche se dopo tante sofferenze
causate dal terribile uragano
e pur in mezzo a tante difficoltà,
NOI POSSIAMO DI NUOVO
TORNARE A SORRIDERE
Questa puntata del blog è stata tutta dedicata all’emergenza uragano. Naturalmente la vita continua e ci sono molte cose belle di cui vorrei parlarvi nel prossimo contributo che spero di pubblicare al più presto.
Un abbraccio forte a tutti
Pè Levi